La Fondazione Pino Pascali invita a:
SHOWCASE
Rita Casdia – “Ferite come Fessure” // presentata da Muratcentoventidue (Bari) presso la Fondazione Pino Pascali
Inaugurazione: sabato 25 novembre 2017, ore 18
Torna nella Project room del Museo Pino Pascali il progetto ShowCase, una serie di mostre che coinvolgono le gallerie d’arte nella presentazione di solo show o progetti curatoriali – disegnati dalle gallerie stesse – nelle stanze della Project room, nel basement del museo. Con questo progetto, che chiama in causa artisti internazionali, la Fondazione Pino Pascali vuole dare spazio, all’interno di una sede istituzionale, alle gallerie e ai soggetti attivi in Puglia, ma che operano all’interno del sistema dell’arte su scala nazionale e non solo, offrendo allo stesso tempo agli spettatori un saggio importante della ricchezza presente sul territorio.
Il sesto appuntamento del progetto, che si svolgerà dal 25 novembre al 7 gennaio 2018 (inaugurazione sabato 25 novembre alle ore 18) è con la Galleria Muratcentoventidue Artecontemporanea di Bari che presenta Ferite come Fessure, un progetto dell’artista siciliana Rita Casdia, a cura di Fabio Carnaghi.
Negli ultimi anni si è assistito, grazie anche all’applicazione delle tecnologie digitali, a una crescente diffusione del disegno animato tra gli artisti e in questo specifico ambito della video arte si pone il lavoro di Rita Casdia. L’artista indaga, attraverso la video animazione, ma anche attraverso il disegno e la scultura, mondi emozionali a metà tra sogno e realtà, rivolgendo la sua attenzione principalmente ai meccanismi elementari dei sentimenti umani, con uno sguardo attento alle dinamiche generate dai legami affettivi e dalla sessualità. In mostra una serie di video dell’artista ed una scultura in tessuto, Flesh Mellow, posta sul pavimento della project room.
Fabio Carnaghi, che ha curato la mostra, così scrive a proposito del suo lavoro e del progetto che viene proposto al Museo Pascali : “Guardare scrutando un interno, uno spazio claustrofilico, intimamente femminile, ovvero corporale e soggettivo, deliberatamente autobiografico: l’obbiettivo della macchina da presa assume questo scopo mediale nella prassi artistica di Rita Casdia. Il microcosmo è il teatro in cui si ripete un autoritratto di gruppo a cui partecipano creature misteriose, che non hanno paura di manifestarsi e di manifestare l’indicibile, ciò che avviene nelle profondità più recondite di un territorio viscerale, carnale, organico. Le creature di cui Casdia è demiurgicamente madre e generatrice inesorabile di motilità – siano esse plastiche o tracciate dal segno grafico – vivono come esseri plasmabili, duttili e malleabili, animati dal soffio vitale di sceneggiature aleatorie, propulsive di gestualità quasi ieratiche nella comunicazione di corpi celibi, mancanti, attraversati da forze oscure. In questa dimensione, i corpi agìti non recidono mai i legami con la loro creatrice ma ne divengono avatar, non attori subalterni, ma veri e propri “se stessi”.
I corpi/avatar si addentrano brulicanti in spazi che, anche quando si tratta di bianchi schermi neutri, assumono il carattere di palinsesti che delimitano il movimento, lo arginano e lo costringono. L’antropomorfismo non è mai compiuto, in balìa dell’inesorabile volontà della plasmazione, ma sempre affidato ad anatomie che svelano una femminilità combattuta tra azioni sentimentali, atti intimi, pulsioni istintive, stereotipie sessuali, paure e disagi, dolori e violenze. I corpi sono travolti da una contingenza assoluta che li contiene in scenari irreversibili, in cui nulla sembra mutare. L’avatar diviene feticcio affettivo, capro espiatorio di una complessa sceneggiatura fra il tragico e il grottesco. L’anatomia dei corpi è così ferita, rotta, segnata, esteriormente o interiormente.
Per traslato, la metafora carnale mnemonicamente rimanda al corps morcélé, ad una concezione tutta femminile di sacrificio e ferita, che allude ad un bleeding slit – alla fessura sanguinante, segno primordiale dei genitali femminili – iconograficamente riferibile ad una cultura storica che ha fatto della ferita un tema ideologico. Questa atavica ferita riporta a Gina Pane che ne parla come “segno dello stato di estrema fragilità del corpo, un segno del dolore, un segno che evidenzia la situazione esterna di aggressione, di violenza cui siamo esposti” . Nel lavoro di Casdia prosegue quella lezione di anatomia che la tradizione culturale ha consegnato, diventa essa stessa una tara, un fardello di cui farsi carico, una problematica imprescindibile.
Ma nel processo artistico di Rita Casdia questa prospettiva guarda oltre e si avvale del mezzo filmico per aprire un nuovo punto di vista, il punto di vista voyeuristico che da sempre ha animato lo scrutinio anatomico. La ferita che diventa fessura è il pertugio da cui guardare.
La Corporis Fabrica, che nella prassi di Casdia è letterale nella creazione delle sculture destinate a trasformarsi in corpi, si riafferma nel desiderio di analisi e di introspezione rispetto all’anatomia del corpo, in particolare di quello femminile. Il corpo, alla stregua di un Freak, è messo in mostra attraverso il taglio, che nel caso di Casdia ha come sonda ottica la telecamera. In definitiva, la Claymation nella video arte di Rita Casdia è un sofisticato punto di incontro tra materia, dato fisico e animazione. Questo uso del mezzo filmico, in rapporto alle tematiche trattate da Casdia, sorprendentemente riedita oggi dinamiche che hanno destato la curiosità nelle proiezioni animate di Menotti Cattaneo, che a Napoli nel 1899 erano complementari alla messa in mostra di un corpo realizzato in cera così come i relativi organi, oggetto di esposizione a seguito di una macabra dissezione, impressionante allo sguardo del pubblico. In questi termini, il cospicuo lavoro che Rita Casdia svolge da anni, può ispirare un dibattito più esteso che attraverso un linguaggio contemporaneo accende di nuova luce le più ataviche tematiche del femminile che riecheggiano nella suadente tattilità di “Flesh Mellow” (2017), degno case study di una nuova e pruriginosa lezione di anatomia.
Elenco dei video in mostra:
Piccole donne crescono, 2006 (4’05”)
White Sex, 2008 (1’53”)
Stangliro, 2013 (4’09”)
It’s You, 2017 (2’45”)
Mammina, 2005 (2’25”)
Beautifull Eyes, 2007 (1’21”)
Skin Life, 2014 (2’28”)
I d., 2015 (4’50”)
Inaugurazione:
25 novembre 2017, ore 18
Rita Casdia. Ferite come Fessure. A cura di Fabio Carnaghi
La mostra rimarrà aperta fino al 7 gennaio 2018.
Orario: dal martedì alla domenica ore 10-13 / 16-21. Lunedì chiuso.
La Fondazione Pino Pascali è punto Fai – Delegazione Bari
Amici del Museo Pascali: Carrieri Design, Ognissole.
FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI
VIA PARCO DEL LAURO 119 – 70044 POLIGNANO A MARE (BA) – PH: +39 080 4249534
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Santa Nastro +39 3928928522 snastro@gmail.com