CAMERA CON VISTA
La visione di 14 fotografi al tempo della pandemia
opening su museovirtualepinopascali.it
Testo di Di Raffaele Gorgoni e Nicolai Ciannamea
L’ispirazione viene dalla collezione privata La casa del padre di Nicolai Ciannamea che scrive a quattro mani questo testo con Raffaele Gorgoni. Fotografie scattate nella casa di famiglia nei mesi successivi alla morte del padre, prima di compiere quella complessa operazione che è dismettere l’abitazione di chi ormai risiede solo nella nostra memoria. Gesto che richiede una pietas non minore della sepoltura. Lydia Flem, antropologa francese, ha annotato le sue riflessioni su questa esperienza in Comment j’ai vidé la maison de mes parents. Con grande forza di memoria torna in mente POI / duemila_duemilanove, la straordinaria esplorazione in dimore di Gianni Leone. Non solo per l’altissima qualità delle immagini ma anche per la lucidità dei testi. Costretti in casa, assediati dal senso di morte per l’incalzare di un’epidemia, viene naturale volgere lo sguardo alle cose che ci circondano, alle persone con cui viviamo, al fuori dalle finestre da cui possiamo affacciarci. Cose, anche le più usuali, alle quali proprio il valore d’uso sottrae ogni identità proprio come agli altri che con noi condividono, tutti i giorni e tutte le notti, gli stessi spazi, come ai paesaggi domestici che sembrano sempre uguali a se stessi. L’eccesso di prossimità sfuma le cose nell’indistinto.
Come gli oggetti che per un’intera vita Giorgio Morandi si è ostinato a dipingere: bottiglie, contenitori, vasi … che la mano del Maestro ci ha costretto a guardare fino a vederli.
La casa nasconde ma non ruba dicevano le nonne quando un mazzo di chiavi poggiato distrattamente da qualche parte, costringeva a lunghe ricerche. Ma la casa nasconde anche per troppa consuetudine e per eccesso di evidenza. La lettera rubata era infatti lì, in bella mostra tra gli oggetti di uso più comune. Costretti alla casalinghitudine è possibile accorgersi di tutto quello che ci circonda. Di più. La quotidiana continua convivenza ci porta a riosservare gli altri con noi e noi stessi.
Si può cogliere, nel volgere delle ore, la transizione della luce sulle cose, sui visi, sull’usuale vista dalla finestra che ne svela talvolta la bellezza segreta. L’affermazione di Chesterton che bisogna fare il giro del mondo per ritrovare la propria casa, si può rovesciare in questa, che bisogna fare il giro della propria casa per ritrovare il mondo. Non per caso questa citazione di Leonardo Sciascia da la fine del carabiniere a cavallo, si trova in epigrafe al volume fotografico di Ferdinando Scianna, titolato appunto Cose. Interiors è stato il tema di moltissimi fotografi, tantissimi ambienti e oggetti narrati per immagini in infinite maniere. Dimore e cose abitano la filosofia e la letteratura.
L’immagine più frequente in letteratura è quella della cosa perduta, senza rimedio ma anche la cosa che, perduta la sua funzione originaria, ne ha acquisita un’altra. Di prolungate obbligate convivenze in spazi ristretti raccontano storie di mare, di viaggi fortunati e di naufragi.
Guardiamoci attorno!
Quante madeleine restano nascoste nelle nostre case?
Quanti oggetti transizionali riposano dimenticati nei cassetti?
Vediamo davvero i nostri compagni di viaggio?
Ne La vita delle cose ci guida Remo Bodei e ne La vie étrange des objets ci trascina Maurice Rheims e ancora Francesco Orlando elenca rovine, reliquie, rarità, robaccia e tesori nascosti nel suo excursus Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Antonio Riccardi ha scritto un libretto dal titolo folgorante: Cosmo più servizi. Divagazioni su artisti, diorami, cimiteri e vecchie zie rimaste signorine. Non si sfugge al monumentale L’impero delle cose dello storico Frank Trentman Naturalmente non si possono dimenticare Pamuk e il Benjamin di Infanzia berlinese. Va da sé che la bibliografia sul tema è sterminata.
Volgere la costrizione in esplorazione dunque …
CAMERA CON VISTA:
Testo di Rosalba Branà, direttrice Fondazione Pino Pascali
L’idea della mostra CAMERA CON VISTA nasce da una contingenza specifica, il tempo del- la pandemia. Il nostro Museo Fondazione Pino Pascali a Polignano ed unico presidio istituzionale sull’arte contemporanea in Puglia, è al momento chiuso al pubblico, pertanto abbiamo creato, grazie a MYPHOTOPORTAL, un sito parallelo museovirtualepinopascali.it sul quale andremo a realizzare mostre, didattica e incontri virtuali. La prima mostra virtuale dal titolo letterario e visivo CAMERA CON VISTA (dal testo di Forster fu tratto anche un film) nasce da uno scambio di appunti e conversazioni tra Raffaele Gorgoni – giornalista e scrittore – e Nicolai Ciannamea – fotografo e videomaker – per molti anni insieme presso la sede regionale della RAI.
E allora cosa fanno e soprattutto qual è il fermo-immagine dei nostri fotografi pugliesi in questi giorni di “casalinghitudine”? Ho cosi invitato 14 fotografi a raccontarci il proprio privato, il domestico, un rinnovato in- contro con le persone e le cose ai tempi del coronavirus. Ogni autore scrive una piccola autobiografia visiva, con il linguaggio della fotografia, un linguaggio partigiano e di resilienza diremmo oggi, dal quale emerge la capacità di assorbire un trauma e di riorganizzare, a partire da questo, la propria vita. La fotografia diviene la casa terapeutica, l‘antidolorifico per reagire e stare meglio anche psicologicamente e, per dirla ancor più esplicitamente con Susan Sontag: la fotografia di- viene ‘memento mori.’ Nel senso che fare una fotografia della realtà vista oggi vuol dire partecipare alla vulnerabilità, alla mutabilità di persone e cose… Nel momento storicamente drammatico che stiamo vivendo ho chiesto ai nostri autori di fotografare quella che Zavattini chiamava ‘ qualsiasità’ o Pasolini le ‘cose da nulla’, per da- re invece, ora e in questo momento, un significato profondo agli oggetti, alle persone, ai ricordi…
La fotografia come anticorpo per riordinare il nostro sistema emozionale ai tempi della pandemia… Un racconto per immagini del mondo esterno per raccontare il mondo dentro… I nostri autori sono poeti contemporanei del frammento, individuano un dettaglio sfuggito ai più e lo esaltano ai nostri occhi, non c’è nostalgia, ma solo una diversa ‘attenzione’, una nuova misurazione della realtà.
E così Gianni Zanni e Berardo Celati si concentrano sulla solitudine degli interni e sulla luce che costruisce gli spazi vuoti. Come diceva Ghirri, saper gestire la luce fa la differenza e fa di un normale fotografo un fotografo superiore. Per Zanni, la luce diventa il soggetto per raccontare un microcosmo intimo e personale. Per Celati, la luce diventa penombra e suggerisce un tempo sospeso, incerto e fuggevole. Rivela il proprio stato d’animo e l’enigma del futuro.
E ancora la luce diviene il soggetto principale nelle fotografie di Uccio Papa, Nicolai Ciannamea, Gianni Leone: in primo piano dettagli del corpo, delle mani, dei piedi, braccia e volti ambigui e nascosti.
Uccio Papa presenta una sequenza di fotogrammi, focalizzando la visione sulla sparizione del corpo, una fisicità che si de-realizza lentamente, il corpo sparisce, ne rimane solo l’involucro vuoto e la paura dell’assenza. Di contro Gianni Leone fotografa la presenza: gesti personali minimi e ordinari, l’atto di accendere la pipa, dettagli delle proprie mani, per concludere fotografando se stesso che guarda una sua foto posizionata nella libreria. Volutamente l’autore rappresenta l’ovvietà del quotidiano oppure l’eccesso di quotidianità che avvolge la nostra esistenza in questo frangente.
Tra le immagini di Nicolai Ciannamea una è un autoritratto con specchio, un dialogo simbolico tra realtà e rappresentazione, colui che guarda può ora guardarsi allo specchio, co- me non pensare allo specchio dipinto da Jan Van Eyck nell’opera sui coniugi Arnolfini o ancor più esplicitamente nel Velazquez della Las Meninas? Oggi come allora va in scena l’enigma dell’ARTE e della VITA.
Per Alessandro Cirillo l’importante è abbattere in fotografia il cliché del vero e del verosimile focalizzando il proprio sguardo su quelle icone già codificate, l’intento dell’autore è sottolineare la finzione e il non-autentico e, in questa operazione, la visione trasfigurata del colore è di fondamentale importanza.
Alberta Zallone posa il suo profondo sguardo su di un piccolo mondo naturale: le piante del suo terrazzo crescono e sbocciano nella muta inconsapevolezza del mondo ‘fuori’. Na- tura come espressione di verità, domina anche quegli spazi ridotti in cui noi l’abbiamo relegata. Da sempre interessata alla fotografia di paesaggio, presenta una natura non idealizzata e a misura domestica.
Per Isa Lorusso il focus è la famiglia vissuta in una casalinghitudine coatta ma dolce e do- ve i suoi spazi domestici sono abitati da una natura viva e multicolor. Presenta un diario visi- vo tutto all’interno del suo habitat familiare, istantanee di vita vissuta, fotografie di affezione.
Anche Cosmo Laera focalizza la sua attenzione sull’habitat, in questo caso esterno: la natura della sua terra rigogliosa, autoctona, ma anche un po’ esotica, in un melting pot in cui persone e natura con-vivono in una luminosa apparente armonia insidiata da un piccolo, invisibile e non gradito ospite…
Per Marino Colucci e Michele Cera l’inquadratura passa dalla cornice della finestra di casa: altre finestre, negozi chiusi, la città vuota, l’abbandono … pochissima presenza umana, un paesaggio semi-urbano in cui la presenza dell’uomo è decisamente invisibile, appena accennata.
Per Colucci lo sguardo è distaccato, registra un quartiere di periferia che si racconta, una città qualunque, eppure quello che noi leggiamo è un’inquietante attesa in una raggelante quotidianità.
Per Michele Cera vorrei parlare di fotografia di confine, meglio di auto-confine: stessa in- quadratura, casa dell’autore, dall’alto, scelta obbligata, la sua città, pur essendo il luogo identitario per eccellenza, viene percepita come il luogo del vuoto, una particella di mondo sospesa nel tempo.
La nostra visione della città si fa ancor più inquieta con le immagini di Teresa Imbriani: co- glie in una mattina di nebbia che ricopre Bari, il valore simbolico dell’avversità in cui siamo precipitati. Per Carlo Garzia stiamo vivendo all’interno di una vanitas, le sue fotografie molto pittori- che, dai colti riferimenti fiamminghi, ci rammentano che la vita è breve e fragile, ingiusta e casuale e che di noi non resterà nessuna traccia. Concludo con Raffaele Gorgoni – l’ideatore della mostra insieme a Nicolai Ciannamea: avvezzo come scrittore a trattare il visibile, il detto e il non detto, Gorgoni presenta in mostra oggetti d’uso quotidiano allineati in un ordine quasi maniacale, cose sulle quali avevamo fatto affidamento affettivo ma che avevamo dimenticato, oggetti smarriti che si materializzano con titoli direi ‘antiquariali’ ….le zie di Trepuzzi, un po’ di mal di testa… ma la moltiplicazione e la serialità ne annullano ogni possibile coinvolgimento nostalgico, piuttosto siamo al cospetto di una seduzione fredda che annulla ogni riferimento al proprio valore d’uso legato ad una civiltà perduta. Oggetti di piccole dimensioni per grandi riflessioni, ricordi e memorie che affiorano e si disperdono, per dirla con Deleuze e Guattari, in modalità rizomatica.
Ecco alfine in sintesi il concetto portante della mostra: porsi piccole e grandi domande sul permanere di noi stessi e della civiltà al tempo della pandemia.
Camera con Vista
La visione di 14 fotografi al tempo della pandemia
Prima mostra digitale della Fondazione Pino Pascali
Opening, lunedì 30 marzo su museovirtualepinopascali.it
In collaborazione con Myphotoportal.com